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Exedra nº1
Diciembre de 2009
pp. 17-38

Costruire strade in epoca romana: tecniche e morfologie. Il caso dell´Italia settentrionale

Michele Matteazzi
Departamento de Arqueología (Universidad de Padua, Italia)

A differenza di quanto accade con altri aspetti del mondo romano cosme ad esempio la centuriazione, per la quale disponiamo di ampie informazioni (per lo più raccolte nel cosiddetto Corpus Agrimensorum), per l’ingegneria stradale non esistono, tra i testi giunti fino a noi, trattati o comunque opere specificatamente ad essa dedicate che possano aiutarci a meglio comprendere gli aspetti più propriamente tecnici legati alla viabilità.

Per tale motivo risulta di grande interesse un passo poetico di Stazio, che in alcuni versi delle Silvae si sofferma a descrivere, a grandi tratti e con intenti celebrativi, il processo di costruzione della via Domitiana (una diramazione dell’Appia a Mondragone, voluta da Domiziano per raggiungere più velocemente Pozzuoli), offrendoci l’unica testimonianza che possediamo riguardo a quelle che dovevano essere le principali operazioni compiute nella stesura di una sede stradale in età romana. Il testo ha sofferto nel tempo traduzioni anche molto diverse, per cui credo che valga la pena riproporlo qui nella sua interezza1:

Stando alle parole del poeta, la prima operazione da compiersi doveva essere quella di tracciare dei solchi paralleli (incohare sulcos), che avrebbero costituito una sorta di linee guida della direttrice ed i limiti stessi della carreggiata: tra questi si sarebbe poi scavata una fossa (alto egestu penitus cavare terras), in genere per una profondità che doveva essere maggiore della larghezza prevista per la carreggiata, ma che poteva anche essere minore a seconda di quanto richiedeva la consistenza del sottosuolo (si cercava cioè, per quanto possibile, di arrivare dove il terreno era più compatto, cioè ad solidum). Quindi questa fossa doveva riempirsi con altro materiale (haustas aliter replere fossas), adatto a creare un sottofondo di allettamento (gremium parare) per il summum dorsum, cioè per la parte sommitale della sede viaria che si caratterizzava per un profilo a schiena d’asino (da cui il termine dorsum, cioè dorso, schiena) funzionale a permettere lo scivolamento delle acque piovane sui lati ed evitare che pozze stagnanti rendessero disagevole il transito: il riempimento della fossa veniva in pratica a costituire il corpo stradale in senso stretto (quello che generalmente si suole definire agger viae) e doveva essere formato da una successione di strati di materiale consistente e ben battuto (per lo più ghiaia e sabbia)3, predisposti per stabilizzare il terreno e svolgere una funzione drenante (ne nutent sola), in modo che le pietre di copertura non avessero a subire cedimenti e cocedimenti e collassi improvvisi sotto il peso del traffico veicolare, animale e pedonale che avrebbe usufruito della strada (ne maligna sedes et pressis dubium cubile saxis)4.

Una volta predisposto il sottofondo, si provvedeva a legare la carreggiata da una parte all’altra (iter alligare hinc et hinc) con umbones ben serrati (coactis) e con numerosi (crebris) gomphi. I primi erano solitamente delle pietre infisse di taglio o dei blocchi lapidei parallelepipedi, uniti uno di fila all’altro a formare un cordolo continuo leggermente rialzato rispetto al piano viario vero e proprio, con la principale funzione di contenere lateralmente il corpo stradale. Essi servivano tuttavia anche a separare l’area riservata al passaggio veicolare e animale (iter) da quelle ad esclusivo uso pedonale, chiamate margines5: erano queste delle banchine collocate ai lati della carreggiata che, a seconda che si trovassero alla stessa quota o in posizione più elevata rispetto ad essa, erano rispettivamente definite anche semitae (generalmente in area extraurbana, dove si caratterizzavano come vere e proprie vie laterali fiancheggianti la strada maestra)6 o crepidines (soprattutto in città, dove si trasformavano in veri e propri marciapiedi)7. Gomphus è invece un termine mutuato dal greco γομφος ed ha il principale significato di “chiodo” o “giuntura”: la communis opinio tende a vedere il suo impiego in questo contesto come un riferimento a delle pietre più alte di forma tronco conica che erano spesso collocate (soprattutto in area centro italica) tra i cordoli di umbones, probabilmente per impedire ai carri di salire sulle banchine pedonali e per agevolare la salita e la discesa da cavallo, come ricorda anche Plutarco8. Tuttavia potrebbe non essere del tutto sbagliata l’interpretazione suggerita da Moreno Gallo, secondo cui Stazio volesse in realtà riferirsi alla più classica pavimentazione stradale romana, nota soprattutto da esempi famosi a Roma e a Pompei e costituita da pietre tagliate per lo più in forma poligonale, giustapposte tra loro e fatte ben aderire su un fondo di allettamento9. Queste pietre, mentre venivano ben levigate nella parte superiore per agevolare il passaggio dei carri, in quella inferiore erano grossolanamente sagomate in forma conica per meglio ancorarsi al suolo e garantire una maggiore stabilità alla pavimentazione: sembrerebbe in questo senso comprensibile la definizione di gomphi, cioè di “chiodi” (elementi lisci superiormente e conici inferiormente) che letteralmente sarebbero fandati a conficcarsi sul fondo sottostante e, ben uniti gli uni agli altri, avrebbero realmente contribuito a tenere insieme (alligare) la sede stradale. Altri autori latini si riferiscono variamente ad essi anche semplicemente come silices o lapides - da cui la definizione di via silice (o lapide) strata generalmente impiegata per indicare il tipo di strada in cui tale pavimentazione era adottata - anche se il termine tecnico latino più appropriato per riferirsi ad essi pare tuttavia potesse essere quello di lapides turbinati, ovvero di “pietre a forma di cono”, come si ritrova in alcune iscrizioni cisalpine10. In italiano è invece prevalso l’uso di attribuire a tali pietre il termine di “basoli”, da cui la definizione di “basolato” utilizzato in riferimento a tale tecnica, forse derivato da “basalto” e dal fatto che in epoca romana questa roccia venne largamente impiegata (particolarmente nell’Italia del Sud) nelle pavimentazioni stradali.

Una volta chiarito il processo costruttivo, Stazio si prodiga in una ammirata descrizione della complessità e della rigorosa organizzazione del lavoro che era necessario per la realizzazione di un intero tracciato viario. Veniamo così a conoscenza del fatto che vi doveva partecipare un gran numero di persone (quantae pariter manus laborant), ciascuna con compiti assai vari e diversificati: c’era chi si occupava di recuperare il materiale necessario alla costruzione, sia il legname (hi caedunt nemus), sia la pietra (exuunt montes); chi tagliava le rocce e chi il legno per fare delle travi (hi ferro scopulos trabesque levant); chi disponeva le pietre precedentemente lavorate giustapponendole tra loro (illi saxa ligant) e unendole (opus texunt), dove necessario, anche con l’aggiunta di calce (cocto pulvere) e pozzolana (sordido tofo); chi infine liberava il futuro tracciato dalla presenza di scomodi acquitrini (hi siccant bibulas manu lacunas) e da piccoli corsi d’acqua molesti (longe fluvios agunt minores)11.

Anche se questa è l’unica testimonianza che possediamo sulla tecnica stradale romana, non dobbiamo però limitatamente pensare che tutte le strade si costruissero allo stesso modo e soprattutto che fossero tutte dotate di una solida pavimentazione in blocchi lapidei. Come infatti ci dice Livio, questo doveva verificarsi soprattutto in urbe, mentre extra urbem si realizzavano anche viae glarea stratae (ovvero strade costituite da una massicciata in pietrisco e ghiaia ben compattata)12 ed Ulpiano ricorda pure l’esistenza di viae terrenae (cioè in semplice terra battuta)13.

In effetti è questa la situazione che emerge anche in Italia settentrionale – il cui territorio corrisponde in gran parte a quello dell’antica Gallia Cisalpina - dove, quasi a confermare le parole di Livio, la viabilità romana mostra una sostanziale differenza tra i tracciati viari che attraversavano i territori extraurbani e quelli presenti all’interno dei principali centri cittadini. Solo per questi ultimi si è infatti riscontrata un’applicazione quasi sistematica di rivestimenti pavimentali formati da blocchi lapidei rifiniti manualmente e giustapposti tra loro14: in genere si trovano allettati su livelli di fondazione costituiti da ghiaia di medio e piccolo modulo (raramente arricchita da calce) o da semplice argilla compattata (talora anche mescolata a pietrisco o materiale laterizio frammentario) e accuratamente sistemati entro fosse (gremia) non molto profonde e stretti tra cordoli (umbones) di blocchi lapidei parallelepipedi. Questi venivano a delimitare su entrambi i lati della sede viaria, mediamente larga tra i 4 e i 5 m, delle crepidines in terra battuta, leggermente sopraelevate rispetto al piano viario e di larghezza assai variabile: talvolta erano pavimentate in ciottoli e in qualche caso si sono riscontrate anche le tracce di un’originaria porticatura15. Caratteristica fondamentale è inoltre risultata la presenza, al di sotto della trama viaria urbana, di veri e propri impianti fognari con il medesimo orientamento dell’asse viario soprastante, evidenza riscontrata pressoché in tutti i principali centri cisalpini.

Molto differente si è invece rivelata la situazione in ambito extraurbano, dove la grande maggioranza dei rinvenimenti stradali ha evidenziato il generalizzato impiego di riporti più o meno consistenti di inerti lapidei di provenienza per lo più fluviale. Praticamente tutte le principali viae publicae, a partire dalle più antiche e importanti consolari, si sono mostrate costituite da semplici massicciate (spesse mediamente 0,30-0,40 m) di ghiaia e/o ciottoli legati con argilla o sabbia ed eventualmente mescolati a frammenti laterizi, spesso (ma non sempre) impostate sopra fondazioni sistemate entro basse cavità praticate nel terreno di substrato. Il corpo stradale, privo di strutture di contenimento laterale e fiancheggiato da fosse di scolo su entrambi i lati, era più o meno rilevato rispetto al circostante piano di campagna e presentava sulla sommità un leggero livello di ghiaia più fine e argilla pressata (o calce) steso per dare maggiore coerenza e solidità al piano di scorrimento veicolare, sempre caratterizzato da un profilo accentuatamente convesso. Per fare qualche esempio, la via Flaminia, tracciata nel 220 a.C. da Roma ad Ariminum, ha rivelato nel suo ultimo tratto tra Riccione ed Ariminum due principali corpi struttivi sovrapposti – verosimilmente corrispondenti il più basso all’originario intervento di G. Flaminio e il superiore al restauro promosso da Augusto nel 27 a.C. e ricordato nell’iscrizione dell’arco di Rimini16 - entrambi formati da varie stesure di ghiaia fine ben compattata e superiormente arricchita con calce, talora intercalate a straterelli di argilla o sabbia indice di successivi interventi di rifacimento e restauro17. Della via Aemilia, stesa nel 187 a.C. a collegare Ariminum con Placentia, si sono potuti indagare numerosi tratti, che hanno evidenziato come la struttura della consolare fosse generalmente costituita da una successione di riporti di ghiaia e ciottoli18; completamente “glareate” erano anche l’Annia (Atria?-Aquileia, 153 a.C.?), la Postumia (Genua-Aquileia, 148 a.C.) e soprattutto la Popillia (Ariminum-Altinum, 132 a.C.)19.

Per quanto riguarda le altre viae publicae si può qui ricordare la via Verona-Atria: nei pressi di Hostilia la strada era dotata di un piano viario in ghiaia e ciottoli ben costipati con ghiaino e frammenti laterizi, affiancato da fosse di scolo su entrambi i lati e sistemato al di sopra di un solido livello di argille calcaree che originariamente sopraelevava la sede viaria di circa 1-1,5 m rispetto al circostante piano di campagna20; a Ca’ Garzoni (Rovigo), non distante da Atria dove è anche nota come “via per Gavello”, il summum dorsum era invece formato da frammenti di trachite e materiale più piccolo legati con poca calce e disposti direttamente sul suolo argilloso vergine21. Allo stesso modo nel Cesenate, la via Caesena-Sassina, la Caesena-Ravenna e la via del Confine erano dotate di un piano viario formato da una massicciata (spessa 0,15-0,20 m) in ciottoli e frammenti laterizi ben costipati stesa sopra il terreno naturale con fosse di scolo su entrambi i lati22; un battuto in ghiaia, ciottoli e frammenti laterizi ben costipati e legati con terriccio formava invece i piani di scorrimento della via Augusta Taurinorum-Eporedia a Valperga (Torino) e della via Augusta Taurinorum-Ticinum a Trino (Vercelli), dove peraltro poggiava su un sottofondo ugualmente inghiaiato23; similmente su una fondazione in ghiaia era sistemata la sede viaria (erroneamente identificata con quella della Claudia Augusta) rilevata dal De Bon a Maredane di Nervesa della Battaglia (Treviso): larga 9,50 m e delimitata da fosse di scolo su entrambi i lati, presentava alla sommità uno strato di ghiaia e ciottoli ben battuti e legati con sabbia24. L’uso di creare un piano ben battutto alla sommità per agevolare il passaggio dei carri, è risultato ben evidente anche a Peschiera del Garda (Verona), dove le varie fasi (realizzate tra i secc. I a.C. - IV d.C.) del tratto della via Brixia-Verona attraversante il sito del vicus di Arilica erano formate da riporti di ghiaia e frammenti ceramici sminuzzati mescolati con sabbia, ben pressati e compattati25.

Con gettate di ghiaia erano di norma realizzate anche quelle che solitamente vengono definite vie centuriali. Si tratta sostanzialmente di una viabilità minore che, particolarmente in territori di pianura, si poneva in stretta relazione con il sistema della centuriazione, utilizzando alcuni limites come vie di transito privilegiate per spostamenti a carattere soprattutto locale, per collegamenti interpoderali o esclusivamente come vie di accesso a proprietà private (villae e/o impianti produttivi)26. Molte vie non presentano diversità tecniche rilevanti rispetto alle altre “glareate” sopra ricordate, anche se le massicciate sono in genere limitate ad un unico livello di ghiaia e ciottoli legati con argilla o terreno sabbioso, di spessore assai esiguo: la vera differenza riguarda in realtà le componenti di detrito inserite all’interno della massicciata, ovvero frammenti laterizi e calcinacci, che possono essere anche molto consistenti in presenza di insediamenti rustici. In genere le massicciate si limitano ad essere stese sopra piccoli rialzi del terreno ottenuti con riporti di argilla, in modo da garantire alla sede viaria una posizione leggermente sopraelevata e sono di regola affiancate da fosse di scolo su entrambi i lati.

In numero decisamente minore sono invece le attestazioni di sedi stradali basolate (o lastricate) al di fuori dei centri urbani; e quando si incontrano, non appaiono comunque quasi mai in associazione a direttrici di una certa importanza, rivelandosi adottate per tratti anche piuttosto brevi27: possiamo qui ricordare il basolato in poligoni di trachite della via da/per Hostilia messo in luce nel 1911 al di sotto dell’attuale via Garibaldi a Ferrara o, per restare in ambito ferrarese, quello sempre in trachite che venne ad impostarsi su un antico dosso litoraneo sabbioso in località Valle Pega presso Comacchio e ritenuto parte del tracciato della Popillia e il breve tratto (forse pertinente ad una direttrice da/per Atria) un tempo visibile presso la chiesa di S. Venanzio a Coccanile di Copparo28; in provincia di Verbania si possono citare il basolato in blocchi poligonali di Ornavasso, il lastricato rinvenuto nei pressi di Gravellona Toce dotato di fosse di scolo laterali o la pavimentazione in lastroni di serizzo attestata a Mergozzo29: altri esempi analoghi sono anche il lastricato in pietre di grandi dimensioni messo in luce a Desenzano (Brescia) o i basolati in trachite emersi in varie località del Padovano e del Vicentino30.

Il motivo di una tale carenza di testimonianze, ben al di là dal dipendere da una lacuna nelle ricerche, sembrerebbe in realtà ascrivibile ad una serie di motivazioni di carattere funzionale, economico e politico-amministrativo. In questo senso un ruolo decisivo dovette giocarlo la scarsità di cave, in Italia settentrionale, che fossero in grado di fornire pietre da taglio adatte, per durezza e resistenza all’usura, ad essere impiegate nella realizzazione di pavimentazioni stradali e a sostenere senza cedimenti il peso del traffico, così da non dover essere sostituite assai di frequente31. A livello economico era d’altra parte troppo oneroso acquistare ed importare estensivamente pietre da altre zone, per cui il materiale lapideo disponibile dovette essere ragionevolmente impiegato in modo selettivo e non generalizzato, limitandone l’uso ad aree che rivestivano una particolare valenza politica/religiosa (come aree urbane o centri santuariali) così da sottolinearne ed accentuarne la rappresentatività/sacralità oppure a particolari zone, come ad esempio il territorio ferrarese più prossimo al corso e al delta del Po, dove l’instabilità del suolo creava gravi problemi per la manutenzione del manufatto e si rendeva necessario per questo l’utilizzo di materiali resistenti e duraturi.

In una siffatta situazione le uniche possibilità di approvvigionamento di materiale litico erano pertanto costituite da materiali localmente disponibili, quali le ghiaie e i ciottoli copiosamente offerti dagli alvei dei numerosi corsi d’acqua cisalpini: materiali certamente più poveri, ma che garantivano ugualmente una certa resistenza, oltre a permettere una facile manutenzione e la possibilità di realizzare piani viari anche di rilevante ampiezza. Ecco che allora in centri municipali non molto ricchi e relativamente lontani dalle principali aree di cava (ad es. Industria, Hasta, Augusta Bagiennorum, Alba Pompeia, Aquae Statiellae, Brixellum, Claterna), ma soprattutto in molti insediamenti minori (vici e mansiones)32, come alternativa ai più costosi basolati si preferì adottare più semplici rivestimenti realizzati con ciottoli fluviali33: generalmente si impiegavano inerti di media e grande pezzatura, privi di sagomature e rifiniture manuali, che venivano ordinatamente disposti in piano su un fondo di allettamento (solitamente un livello di ghiaia ben battuta), con la parte più liscia a vista e quella più appuntita rivolta verso il basso così da garantire un più efficace ancoraggio, quindi legati con argilla o terra sciolta per dare maggiore stabilità alla pavimentazione stessa. Di questa tipologia pavimentale, che in Italia si è soliti definire “acciottolato”, non troviamo menzione nelle fonti: tuttavia potrebbe anche essere accettabile la definizione proposta da Galliazzo di via globosis saxis strata34, soprattutto considerando che Plinio, pur in riferimento alla pavimentazione di terrazze all’aperto, utilizza un‘espressione analoga affermando che necessarium et globosum lapidem subici35.

Sicuramente più economica, la tecnica dell’acciottolato era al tempo stesso funzionale allo scorrimento veicolare ed efficace nel sopportare l’intenso traffico locale che doveva rappresentare una caratteristica di rilievo in corrispondenza di un centro abitato e richiedeva comunque una progettazione accurata, buone capacità tecniche, discreti costi d’impianto oltre che una certa cura nella manutenzione. Un esempio dell’accuratezza con cui tali acciottolati erano realizzati è offerto da Alba Pompeia, dove l’intera trama viaria urbana era costituita da strade pavimentate con ciottoli di medie dimensioni, contenute entro umbones costituiti da cordoli di ciottoli più grandi36: al centro la carreggiata presentava altri grandi ciottoli disposti in fila lungo la linea di mezzeria, che veniva a coincidere con il sommo della curvatura del summum dorsum e con l’asse della sottostante fognatura; in qualche caso si è riscontrata anche la presenza di allineamenti di ciottoli trasversali rispetto all’andamento della strada e ricorrenti ogni 3 m. Una soluzione simile venne adottata anche ad Aquae Statiellae, dove l’acciottolato della via Aemilia Scauri, asse principale del centro urbano, era attraversata da due file parallele di pietre piatte poste di taglio e situate a circa 5,60-5,70 m una dall’altra37, forse una sorta di deviazioni per il deflusso dell’acqua piovana, anche se non è da escludere fossero in realtà delle traversine a tenuta, verosimilmente avvicinabili all’esempio messo in luce ad Acelum, dove un tratto della via Aurelia in prossimità dell’ingresso in città era pavimentato con blocchetti lapidei di forma grosso modo parallelepipeda, che venivano ad alternarsi a lastre trasversali disposte di piatto38. Questa tecnica, definita “a barre” o “a traversine”, non sembra molto diffusa in Italia settentrionale (l’unico altro esempio a me noto è stato ritrovato a Bergamo)39 e troverebbe una spiegazione con la forte pendenza che la strada doveva superare in quel punto, come contenimento della stessa e per aiutare la salita diminuendo l’attrito prodotto dalle ruote dei carri40.

I dati di scavo paiono d’altra parte dimostrare come fino ad età piuttosto avanzata anche vie urbane di centri importanti fossero prive di rivestimenti lapidei, essendo costituite da acciottolati di modesto impianto quando non da semplici battuti di ghiaia. A Mediolanum, ad esempio, si sono in diversi casi rinvenute al di sotto dei basolati urbani sedi stradali precedenti costituite da uno strato di ghiaia ben battuto: in uno si è anche potuto stabilire con sicurezza (per la presenza di un asse di Augusto datato al 7 a.C.) che la “glareata”, dotata pure di fosse di scolo laterali, doveva essere rimasta in uso almeno fino ad età augustea, quando poi venne obliterata dal basolato soprastante41. L’età augustea (o comunque giulio-claudia) costituisce anche il termine post quem per la realizzazione del basolato che a Vercellae venne a sostituire un primitivo piano viario in ghiaietto molto compattato42, mentre tracce di probabili strade repubblicane in battuti di pietrisco si sono riconosciute anche a Bononia, Ariminum ed Atria43.

Seguendo quanto tali dati parrebbero suggerire, potrebbe allora essere possibile pensare che solo a partire dall’età augustea la rete stradale interna delle principali città cisalpine sia stata dotata di pavimentazioni in basoli lapidei, come d’altra parte attesta per Ariminum un’iscrizione in cui si ricorda che Gaio Cesare, figlio adottivo ed erede designato di Augusto, nell’1 d.C. vias omnes Arimini sternit44. Una ristrutturazione e un potenziamento degli impianti viari urbani potrebbe allora essere rientrato in una ben più ampia e pianificata opera di rinnovamento urbanistico e infrastrutturale della Cisalpina, probabilmente voluta da Augusto e dove lo stesso imperatore intervenne personalmente deducendo nuove colonie e rinnovandone lo statuto a quelle più vecchie: in questo senso non sarebbe un caso se proprio da due centri che beneficiarono di questa riconolizzazione augustea, quali Parma e Concordia, provengano due iscrizioni che testimoniano come gli impulsi ad un ammodernamento urbano vennero a concretizzarsi proprio in quest’epoca, anche grazie a finanziamenti privati45. A quello stesso periodo risalirebbe inoltre il potenziamento delle vie d’acqua interne della Cisalpina, stabilizzate in una complessa rete itineraria formata da canali artificiali e corsi fluviali che poterono essere sfruttati anche per il trasporto di materiali lapidei da impiegare nella copertura delle vie urbane46.

Le conseguenze evidenti di una ben ponderata e pianificata ristrutturazione dei centri urbani cisalpini, potrebbero essere allora viste in un particolare “fenomeno viario” messo in luce in diversi municipia dell’Italia settentrionale. L’esempio migliore è sicuramente quello offerto da Bologna, dove lavori di fognatura alla fine del XIX secolo misero in luce un tratto lungo alcune centinaia di metri della via Aemilia: in quell’occasione si poté notare come la strada, che all’interno della città era basolata in trachite, proseguisse con la stessa copertura per circa 300 m oltre la porta orientale dell’insediamento romano fino ad interrompersi contro un cordolo di contenimento posto trasversalmente all’asse viario, oltre al quale la strada continuava per una quindicina di metri pavimentata in grossi ciottoli fluviali per poi dotarsi di una massicciata di ghiaia47. Attuazioni analoghe, caratterizzate da una più o meno marcata successione di pavimentazioni differenti (con graduale passaggio dal tradizionale basolato ad una strada semplicemente “glareata”), sono risultate particolarmente evidenti anche a Regium Lepidi, Faventia, Libarna, Dertona, Concordia e Aquileia48. In altri casi non si è potuto rilevare con certezza una tale continuità, ma in generale si può comunque affermare che nei centri urbani in cui è documentato l’impiego di basolati, l’adozione di pavimentazioni acciottolate è attestata in area che potremmo definire periurbana (o suburbana) ed in particolare pare essere particolarmente frequente per i primi tratti extramuranei di percorsi diretti verso l’agro49.

Non è chiaro quale sia il reale significato di questo contemporaneo utilizzo di tecniche diverse, che pare quasi voler sottolineare un graduale abbassamento del livello di rappresentatività della strada, man mano che ci si allontana dall’area più propriamente urbana verso il territorio extraurbano. Una suggestiva ipotesi formulata da Ortalli suggerisce che tale differenziazione potesse in qualche modo corrispondere ad una classificazione gerarchica basata sul concetto di una suddivisione del territorio per aree (urbana, periurbana/suburbana, extraurbana), per cui in ogni area si sarebbero attuate scelte tipologicamente distinte50: pavimentazioni basolate, altamente rappresentative dello status cittadino, sarebbero state riservate ad aree “sentite” come urbane, sia all’interno delle mura che in zone di successiva espansione extramuranea dell’abitato (ma considerate comunque parte della città); rivestimenti economicamente più modesti, realizzati con ciottoli fluviali, sarebbero invece stati adottati per assi viari situati nell’immediata periferia; così l’inghiaiatura sarebbe stata applicata in zone ritenute totalmente al di fuori dello spazio urbano e parte integrante dell’ager (quindi pienamente extra urbem), dove abbiamo visto che tale tecnica trovava il suo massimo sviluppo. L’ipotesi, assai plausibile, di una simile differenziazione tecnica troverebbe d’altra parte piena rispondenza nelle parole di Livio e porterebbe conseguentemente anche a credere che in età romana esistesse una sorta di (precostituita) gerarchia delle tipologie di pavimentazione stradale, rendendo assai più complesso di quanto si poteva ritenere il quadro della tecnica stradale romana.

Un quadro che si complica ulteriormente se veniamo a considerare l’importanza che in età romana ebbe la morfologia nel tracciamento delle strade e le soluzioni ingegneristiche messe di volta in volta in atto per superare particolari difficoltà di transito. Non dobbiamo infatti pensare che ci si limitasse solamente alla semplice stesura di pavimentazioni lapidee o di gettate di ghiaia, così come ci si dovrebbe liberare dal preconcetto che tutte le strade romane corressero rettilinee. Certo, in territori pianeggianti privi di particolari difficoltà e asperità (com’è in generale la pianura Padana) la conduzione rettilinea era privilegiata, in quanto i Romani ben sapevano che la retta è il modo più semplice e più rapido per unire due punti, così come in terreni naturalmente solidi e ben drenati l’approntamento di basolati o sistemazioni “glareate” era facilmente applicabile. Quando tuttavia il tracciato si trovava a dover obbligatoriamente passare per territori geomorfologicamente ostili, gli ingegneri romani seppero dimostrare tutta la loro abilità nel leggere le varie caratteristiche dei terreni attraversati, sfruttandole o modificandole a seconda dei casi e delle necessità.

Così ad esempio la presenza (in pianura) di alture modeste ed isolate che si frapponevano al tracciato previsto consigliava, affinché la strada non fosse costretta ad aggirarle, con un conseguente allungamento del percorso e dei tempi di percorrenza, che venissero praticate quelle che si suole definire come “tagliate”, ovvero dei veri e propri tagli del rilievo realizzati affinché la strada potesse correre rettilinea e sempre alla medesima quota. Di questa tecnica abbiamo numerose testimonianze in Spagna, in Francia e anche in Italia meridionale51, mentre per l’Italia settentrionale l’unico esempio è la tagliata realizzata lungo la via Aemilia in località Capocolle di Bertinoro, tra Caesena e Forum Popili, un apprestamento che permise (e permette tuttora anche alla strada moderna) di attraversare in perfetto rettifilo un erto sperone collinare52.

Quando ciò non era possibile, ovvero nelle zone di montagna o di collina, la sede viaria veniva solitamente ad impostarsi su terrazzi di fondovalle, se sufficientemente ampi o su posizioni di versante, assecondando l’andamento del rilievo. In genere il fondo stradale veniva sempre realizzato con gettate di ghiaia di varia pezzatura mescolata a sabbia o terra sciolta, spesso contenute entro muretti o cordoli di pietre, mentre talvolta si impiegavano anche massicci blocchi con funzione di basoli (soprattutto nei tratti posti più in pendenza). “Glareati” e trattenuti da cordoli di pietre si sono mostrati ad esempio ampi tratti della “via dell’Isarco” e di quella “della Val Pusteria” messi in luce in Alto Adige53; la via Feltria-Bellunum, che a Triva-Santa Susanna (Sedico, Belluno) correva su un versante collinare fiancheggiata da due piccoli argini e da due fosse di scolo, aveva invece un piano viario formato da grandi basoli troncoconici e da massi levigati naturalmente sistemati su una fondazione in ciottoli, mentre delle pietre squadrate poste lungo i margini costituivano una specie di cordoli di contenimento54; di una pavimentazione in lastroni quadrangolari di roccia molto levigati in superficie era dotata anche la via che risaliva il corso del Piave a S. Martino di Valle di Cadore (Belluno), dove però si alternava a brevi tratti in cui veniva invece sfruttata l’emersione della roccia naturale55. A Fortezza (Bolzano) si è invece potuta osservare la compresenza di ben tre tecniche distinte, impiegate praticamente nel medesimo luogo: in tratti pianeggianti vennero approntate delle semplici gettate di ghiaia; in quelli maggiormente in pendenza, per agevolare l’ascesa e la discesa, vennero sistemati dei massi di diversa grandezza con funzione di basoli; infine, dove affiorante, la strada si impostava sulla roccia viva, che porta ancora incisi i solchi lasciati dal passaggio dei carri56.

Poiché comunque di rado nei versanti si trovava naturalmente lo spazio sufficiente ad impostare una sede stradale, tutto ciò comportava l’esigenza di creare dei viadotti lunghi talvolta anche centinaia di metri, incidendo la roccia sul lato a monte e, per rendere sicuro il piano stradale, terrazzandoli sul lato a valle con muraglie a volte alte anche una decina di metri (substructiones contra labem montis)57. Gli esempi migliori, soprattutto per la loro monumentalità, si trovano in Valle d’Aosta e appartengono alla via che da Augusta Praetoria per i passi del Piccolo e del Gran San Bernardo conduceva in Gallia: la realizzazione di una lunga rampa cha da Donnas porta alla stretta gola di Bard richiese ad esempio la dotazione di poderose e spesse murature in opera poligonale (che in alcuni punti raggiungevano anche i 16 m di altezza) per consolidare e completare la roccia naturale a valle e nel contempo rialzare anche il piano stradale, mentre a monte venne effettuata una serie di tagli artificiali per regolarizzare il profilo della montagna58; da ricordare è anche l’approntamento in località Runas (Avise), dove il tracciato aggira con andamento segmentato una sporgenza rocciosa e le sostruzioni, costituite da imponenti murature in opera cementizia contraffortate e risegate e da una serie di archeggiature cieche di sottofondazione, poggiavano direttamente sulla roccia e presentavano degli incassi per l’inserimento di travature per le impalcature di costruzione e manutenzione59.

In alcuni casi la sede viaria veniva invece tagliata completamente nel “bed rock”, soprattutto quando si potevano sfruttare eventuali emersioni rocciose. In genere in tali situazioni, per facilitare il passaggio dei carri nei punti ritenuti più pericolosi, si incidevano anche nella roccia dei solchi paralleli che venivano a costituire delle vere e proprie rotaie entro cui si incanalavano le ruote dei veicoli, aumentandone l’aderenza e impedendone pericolosi slittamenti: poiché gli esempi migliori si trovano in Svizzera e in Austria, in letteratura è prevalso l’uso di definire questo tipo di strade con il termine tedesco “Geleisenstrassen”, ovvero “strade a rotaia” (o “a binario”)60. Tra le molte testimonianze che possediamo in Italia settentrionale61, vale qui la pena di ricordare quelle assai note di Donnas (Aosta) e del passo del Gran San Bernardo. Nel primo caso uno sperone roccioso che ostacolava il passaggio fu tagliato per una lunghezza di circa 222 m e per quasi 13 m in altezza, così che la sede stradale, la parete a monte, il parapetto a valle, una scalinata che permetteva di scendere al fiume sottostante e persino un miliare ed un arco furono ricavati nella roccia: il piano viario, largo all’incirca 4,70 m e provvisto di solchi carrai regolari e paralleli, presentava anche delle incisioni trasversali che dovevano favorire l’ascesa degli animali, permettendo una maggiore aderenza agli zoccoli ed impedendo in tal modo inopportuni e rischiosi scivolamenti62. Presso il Passo del Gran San Bernardo la strada venne invece letteralmente scavata nella roccia per un tratto lungo circa 60 m, realizzando una sorta di passaggio “in trincea” (largo 3,66 m e con pareti laterali alte fino a 1,55 m), forse per proteggere i viaggiatori dalle folate di vento particolarmente forti in quel punto63: sul fondo stradale sono visibili le tracce di veri e propri gradini intagliati per facilitare la salita e, in un tratto, nelle pareti laterali si scorgerebbero anche, secondo il Ferrero, “alcuni incastri” funzionali ad alloggiare delle travi lignee, atte forse a sorreggere un tavolato che avrebbe permesso di superare un punto del tracciato “particolarmente rovinato dalle acque”64. Se tale interpretazione fosse corretta, un simile espediente potrebbe forse corrispondere ad una particolare tecnica, nota da un’iscrizione di epoca traianea su roccia della Moesia Superior65, che prevedeva, in mancanza di spazio a disposizione, la realizzazione di una sede stradale parzialmente o totalmente artificiale mediante una pavimentazione a tavolati e supporti di sostegno a mensola (ancones), come del resto si usa fare ancor oggi in alcuni difficili passaggi di montagna66.

Quando il tracciato si trovava invece ad attraversare zone umide, caratterizzate da abbondanti acque di superficie, la presenza di un terreno particolarmente instabile e cedevole non in grado di sostenere fisicamente il peso di un manufatto stradale richiedeva l’approntamento di complesse opere di bonifica e consolidamento. Una soluzione frequentemente adottata (particolarmente in area emiliana) fu allora quella di utilizzare a questo scopo dei depositi di anfore, opportunamente sistemate capovolte o coricate, sopra cui si impostava la sede stradale: è questa la situazione emersa in via Palermo a Parma, dove la “glareata” corrispondente alla strada per Brixellum era affiancata da un enorme banco di centinaia di anfore stese nel terreno, intercalato ad una palificata lignea e collegato ad una serie di briglie laterali, che garantiva un efficace rinfianco di sostegno e drenaggio alla massicciata67. Altre volte si impiegarono costipamenti di materiale frammentario, come a Faventia, dove il basolato rinvenuto nel 1932 in piazza S. Lucia venne sistemato su uno strato di ghiaia impostato su una base costituita da frammenti d’anfora di grandi dimensioni approntata per consolidare il terreno68, o in viale Galilei a Ravenna, dove i piani originari della via Reina si impostavano su massicci livelli di materiale edilizio assai grossolano e calcinacci stesi per stabilizzare la sponda del bacino lagunare lungo cui correva la strada69. Isolata appare invece la soluzione adottata per la Flaminia a S. Lorenzo in Strada, dove la natura del terreno, instabile verso mare per la presenza di una zona acquitrinosa, determinò la realizzazione di un particolare sistema di drenaggio, composto di due condotti fittili messi in opera alla base della massicciata stradale e ortogonalmente all’asse viario70.

Talora si intervenne efficacemente anche impostando il corpo stradale su di un sistema di strutture lignee formato da tronchi o travi sovrapposti ed incrociati, cui si potevano aggiungere fascine o altro materiale vegetale al di sotto per aumentarne maggiormente la capacità drenante: si veniva in pratica a creare una sorta di struttura galleggiante sul terreno acquitrinoso che serviva da base ad un più o meno modesto terrapieno (agger) su cui era sistemata la massicciata stradale vera e propria. Di tale tecnica costruttiva, in cui taluni studiosi ritengono possa identificarsi la tipologia dei cosiddetti pontes longi citati in due suggestivi passi tacitiani, possediamo diverse testimonianze in Belgio, in Germania e in Austria ma alcune sono anche in Italia settentrionale71: un buon esempio è quello incontrato a Ferrara nel 1911, quando lavori per le fognature in via Garibaldi misero in luce un impiantito ligneo formato da grosse travi di rovere ortogonalmente sovrapposte tra loro e sistemate sopra uno strato di fascine su cui veniva ad impostarsi il corpo stradale della via da/per Hostilia, formato da un modesto agger in argilla sulla cui sommità era allettato un basolato in trachite che ne costituiva il piano di scorrimento72. Su una struttura di travi di quercia e legno poggiava pure l’agger, alto 0,50 m e formato da più strati sovrapposti di ciottoli, della via che da Concordia portava nel Norico, individuato presso le torbiere di Soima-Bueris (Tarcento, Udine); così la via Popillia nei pressi di Adria (Rovigo) presentava una stesura in pietre di grosse dimensioni impostate su una fondazione cementizia posta sopra travi di rovere sistemati su di un livello di sabbia marina73.

In aree facilmente soggette ad esondazioni e ristagni idrici, si è di frequente sfruttata l’eventuale presenza nella zona di dossi fluviali o cordoni litoranei su cui impostare le massicciate stradali, approfittando della loro maggiore solidità litologica e del fatto che, essendo leggermente sopraelevati rispetto al piano di campagna circostante, tenevano la strada al riparo da facili alluvioni. Così ad esempio, lungo la costa, la via Flaminia venne condotta per un buon tratto al di sopra di una stabile falesia sopraelevata di vari metri rispetto al litorale marino; la Popillia si sistemò su cordoni litoranei (ghiaiosi e sabbiosi) per sfruttarne la maggiore solidità litologica e la leggera sopraelevazione; su dossi fluviali sabbiosi creati dal Po si impostarono invece i percorsi parafluviali diretti da Brixellum ad Hostilia e dalla zona di Ferrara verso Adria.

Quando non era possibile sopraelevare la sede stradale naturalmente, per salvaguardarla dalla minaccia delle acque e delle paludi, questa veniva sistemata sulla sommità di terrapieni artificiali (aggeres), creando quelle che vengono solitamente definite come “strade in levada”74. Così sappiamo da Tacito che la Postumia correva su terrapieno oltre Cremona75, mentre fino all’inizio del XX secolo ampi tratti dello stesso erano conservati anche tra Vicetia e il Brenta dove, secondo quanto riporta il De Bon, si elevava sul piano di campagna per un’altezza di circa 2 m e presentava una larghezza alla base di circa 20 m76. Dove ancora conservati, tali terrapieni hanno mostrato di caratterizzarsi per una forma trapezoidale, con un corpo variamente elevato sul piano di campagna e costituito prevalentemente da argille e limi generalmente impostato su di una massicciata in materiale lapideo (tra cui talora erano inseriti anche laterizi frammentari) la cui principale funzione doveva essere quella di favorire il drenaggio interno della struttura: questa, che poteva raggiungere anche i 30-40 m alla base, era poi in genere lateralmente affiancata da più o meno larghi fossati di scolo, mentre sulla sommità trovava posto la sede viaria vera e propria, caratterizzata da una pavimentazione “glareata”. Ad esempio, il terrapieno della cosiddetta “via dell’Arzeron della Regina” era largo circa 30-36 m alla base e 18 alla sommità, dove si impostava il piano viario costituito da un battuto di ghiaia, il tutto per un’altezza di circa 4 m: il corpo, costituito da strati sovrapposti di limo e argilla, era fondato su una massicciata di blocchi di trachite di grandi dimensioni e frammenti laterizi ed era affiancato da larghi fossati di scolo77. Simile è risultata anche la costituzione dell’agger della cosiddetta via del Lagozzo, a nord di Altinum, che si elevava per circa 7 m ed era largo 32 m inferiormente e circa 6-10 m alla sommità, con un corpo in limo e argilla sistemato sopra uno strato di pietrisco e grossi ciottoli78; mentre “in levada” correva per lunghi tratti pure la via Annia: alle porte di Altinum la massicciata in ghiaia che costituiva il piano viario era sistemata su di un terrapieno in sabbia rinforzato alla sommità da uno strato di ciottoli e lateralmente affiancato da fossati79, mentre a Ca’ Tron, dov’era sempre delimitato da due ampie fosse di scolo, mostrava invece un’altezza più modesta (1-1,5 m) pur con una larghezza compresa tra 12-24 m80.

Infine, per quanto riguarda la viabilità romana in Italia settentrionale, da un punto di vista cronologico diversi dati parrebbero suggerire come vie consolari e altri percorsi di importanza primaria siano stati realizzati in età repubblicana e fin da subito dotati di una sede stradale stabile, verosimilmente formata da gettate di ghiaia e ciottoli. Tra la fine della Repubblica e la prima età imperiale si documenta invece un rinnovamento ed un riorganizzamento dell’intero sistema viario, con la sistemazione dei precedenti tracciati repubblicani e la creazione di nuovi percorsi, come risulta ben testimoniato anche dalle fonti che paiono concordi nell’indicare in Augusto il promotore di questa iniziativa (portata poi avanti in più tempi dai suoi successori)81. E’ quindi lecito pensare che questo rinnovamento, che avrebbe portato a consolidare ed attrezzare definitivamente le sedi stradali cisalpine, possa essere avvenuto in concomitanza con il precedentemente ipotizzato riassetto urbanistico dei principali centri urbani, così che mentre le vie cittadine vengono basolate o comunque rivestite con acciottolati di buona fattura, le strade extraurbane sono sistemate (o realizzate ex-novo) con nuove ed importanti gettate di ghiaia. Queste vennero poi continuamente sistemate e restaurate fintanto che le condizioni lo resero possibile, ovvero fino a quando in età tarda, a seguito del dissesto economico e della forte crisi attraversata dall’Impero d’Occidente, i restauri si fecero via via sempre più sommari e meno accurati fino ad arrivare a realizzare anche in città piani stradali in tecniche povere, non di rado utilizzando materiali di reimpiego: si rinvengono così abbastanza di frequente, al di sopra dei livelli stradali di piena età imperiale, approssimativi risarcimenti di buche e lacune del summum dorsum, livellamenti e rialzamenti dei piani viari in pezzame laterizio e pietrisco o accrescimenti realizzati con riporti di terreno fortemente antropizzato, ricco di rifiuti e di colore grigio nerastro. Il progressivo degrado delle massicciate si verifica quindi per il logoramento e la mancanza di manutenzione, con il conseguente sfaldamento e interro della sede stradale e con rialzamenti del piano viario dovuti anche a fenomeni di alluvionamento causati dal concomitante dissesto idrogeologico, così che, dove non abbandonate, le strade si trasformano spesso in precarie piste sterrate82.




NOTAS
1 Per una rassegna critica sulle principali traduzioni esistenti del passo di Stazio vedi da ultimo ROSADA 2006 e bibliografia ivi citata.
2 STAT., Silvae, IV, 3, 40-55.
3 Come sembra potersi ricavare dalle parole di Tibullo, hic congesta glarea dura sternitur, hic arta iungitur arte silex (eleg., 1, 7, 59-60) e di Plutarco, che in riferimento a Caio Gracco ricorda che "fece costruire strade […] con pietre levigate tra cui erano inseriti strati di sabbia ben compattata" (C. Gracch., 7,1).
4 Per molto tempo, almeno partire dal lavoro di Nicolas Bergier del 1622 su l'Histoire des grandes chemins de l'Empire Romain, si è voluto considerare (a torto) anche un passo vitruviano che parlava di pavimenta di strutture abitative e delle opere di sottofondo necessarie per dotarli di solidità, elasticità e di un corretto drenaggio, l'indicazione della tecnica di realizzazione di un manufatto stradale, proponendo per le strade la sequenza stratigrafica ormai divenuta canonica di statumen (cioè uno strato formato di pietre di grandi dimensioni), rudus (un livello di pietrisco ben battuto misto a malta) e nucleus (ovvero ghiaia ben compattata). C'è da dire che in questo errato riconoscimento l'avvocato francese venne agevolato dal fatto che, come per una struttura abitativa, anche per un tracciato stradale fosse importante trovare il solidum e creare attraverso una progressiva stratificazione una sede adeguata, elastica e drenata: la sua perseveranza fino ai nostri giorni è tuttavia legata anche alla scarsa attenzione posta negli anni alla tecnica stradale romana, di cui non si trova praticamente traccia nelle relazioni di scavo che non siano recentissime.
5 LIV. XLI, 27, 5; IUVEN., 3, 654: in margine stratae. Cfr. anche CIL, XIV, 4012: clivum stravi lapide…cum marginibus. 6 Semita significa letteralmente "sentiero", "viottolo" ed indicava solitamente un tracciato facilmente percorribile (soprattutto a piedi) ma che non aveva l'autorità di una strada vera e propria. Per l'uso del termine con significato di marciapiedi, cfr. PL., Curc., 287: capite sistere in via de semita.
7 Crepido significa "zoccolo", "piattaforma" ed era un termine usato soprattutto negli edifici, tanto privati quanto religiosi. Per l'uso del termine in ambito stradale, cfr. PETR. 9, 1: in crepidine semitae; CIL: V, 2116 (viam cum crepidinibus… straverunt); IX, 442 (viam et crepidines stravit); XI, 1062 (viam…stravit crepidines et castella posuit); XI, 3003 (per crepidinem sinisterior viae publicae).
8 PLUT., C. Gracch., 7,4: "bisogna infine inserire ai due lati della strada altre pietre meno distanti tra loro [dei miliari] per consentire a quelli che hanno cavalli di montarli facilmente da soli senza bisogno di uno staffiere". Cfr. QUILICI 2006, p. 160.
9 MORENO GALLO 2006, p. 135. La migliore descrizione di una tale pavimentazione è quella offerta da Procopio di Cesarea (Bell. Got., V, 6-11), che a proposito della via Appia dice che era formata da "pietre da macina e dure per natura […] e dopo averle lavorate in modo che fossero lisce e prive di sporgenze e averle tagliate in forma poligonale, [Appio] le legò insieme le une con le altre senza inserirvi rottami di pietre o altro tra loro. Ed erano unite insieme e serrate così fermamente che davano l'apparenza, a chi le guardava, di non essere state unite ma di essere nate insieme".
10 La dicitura lapides turbinati si ricava da due iscrizioni, una di Concordia (CIL, V, 1892:…vias circa aedem Minervae lapide turbinato testamento sterni iussit) e l'altra di Parma (CIL, XI, 1062:…viam lapide turbinato a foro ad portam stravit). Sul significato del termine, cfr. BROILO 1980, pp. 74-75, n. 32.
11 Lo stesso concetto, espresso in modo molto più sintetico ma altrettanto chiaro riguardo a quale impresa fosse la costruzione di un manufatto stradale, si ritrova anche in Diodoro Siculo, che nella sua Bibliotheca Historica (XX, 36) ricorda come Appio "pavimentò la maggior parte della via Appia con pietre solide […], spianò i luoghi elevati e livellò i dirupi e le depressioni del terreno con sostruzioni notevoli".
12 LIV., XLI, 27, 5: censores vias sternendas silice in urbe, glarea extra urbem.
13 ULP., Dig., XLIII, 11: Si quis in specie refectionis deteriorem viam facit, impune vim patietur. Propter quod neque latiorem neque longiorem nequealtiorem neque humiliorem viam sub nominee refectionis is qui interdicit potest facere, vel in viam terrenam glaream inicere aut sternere viam lapide quae terrena sit, vel contra lapide stratam terrenam facere.
14 Oltre ai più classici basolati, nella città romane dell'Italia del Nord si sono riscontrato anche esempi di pavimentazioni a lastricato, cioè caratterizzati dalla giustapposizione di lastre di pietra di forma quadrangolare che a seconda dello spessore venivano variamente definite laminae (CIL, XI, 1184: forum laminis…stravit) o lapides quadrati (da cui la definizione di via lapide quadrato strata utilizzata per tale tecnica, cfr. GALLIAZZO 1995, p. 481).
15 In particolare a Bononia, cfr. ORTALLI 1996, pp. 145-146 e 154-155.
16 CIL, XI, 365.
17 ORTALLI 1992, p. 154. In alcuni punti, alla sommità della massicciata più antica, si notarono quelle che potrebbero essere state le tracce di un'originaria pavimentazione: si trattava di un livello costituito da ghiaia di grosso modulo, pietre e ciottoli appiattiti disposti a formare una sorta di rozza lastricatura, probabilmente con la funzione di rendere più stabile e solido il piano viario.
18 ORTALLI 1992, pp. 152-154. Particolarmente interessante è risultato lo scavo effettuato nel 1996 presso Cittanova (Modena), se non altro perché ha permesso di riportare in luce tutte le principali fasi di vita della strada, dal suo primitivo impianto ad opera di M. Emilio Lepido fino all'epoca contemporanea: si sono così potuti rilevare almeno quattro distinti livelli stradali di età romana, databili tra gli inizi del II sec. a.C. e l'età tardoantica, tutti ugualmente costituiti da una massicciata di fondazione in ciottoli di medie dimensioni legati con argilla (spessa in media 0,30 m e priva di strutture di contenimento laterale) cui si sovrapponeva uno strato di ghiaia e piccoli ciottoli, ben battuto e con evidenti tracce del passaggio dei carri (DALL'AGLIO, DI COCCO 2006, pp. 350-351, MO_S05).
19 Cfr. per l'Annia, via Annia 2004; per la Postumia, CALZOLARI 1992, p. 164 e Postumia 1998; infine, per la Popillia, MACCAGNANI 1994 e DALL'AGLIO, DI COCCO 2006, p. 379, RN_S01.
20 CALZOLARI 1992, p. 162.
21 ROSADA 1999, pp. 89-90.
22 DALL'AGLIO, DI COCCO 2006, p. 374-375, FC_S06-S07.
23 CERCHIARO 2004, pp. 245-46; ROSADA 2004, p. 53.
24 DE BON 1938, pp. 30-31.
25 BRUNO, CAVALIERI MANASSE 2000, pp. 79-82.
26 Sulla tecnica costruttiva delle vie centuriali vedi in particolare BOTTAZZI 1992; ORTALLI 1992, pp. 157-158 e bibliografia ivi citata.
27 In realtà sono assai più frequenti le segnalazioni riguardanti basoli sparsi nelle campagne e variamente impiegati in strutture medievali e successive (soprattutto nel Ferrarese, cfr. UGGERI 2002), che indurrebbero a pensare all'originaria esistenza di un numero assai maggiore di sedi stradali basolate rispetto a quello attualmente documentato: la (praticamente) totale mancanza di notizie precise in proposito rende tuttavia molto difficile, per non dire impossibile, risalire all'ubicazione originaria di tali basoli, non potendo escludere una loro provenienza da contesti urbani.
28 DALL'AGLIO, DI COCCO 2006, p. 365 FE_S01, p. 366 FE_S04; UGGERI 2002, p. 115, n. 79.
29 CERCHIARO 2004, pp. 246-47; ROSADA 2004, pp. 57-58. 30 CERCHIARO 2004, p. 246 e nota 25.
31 Le principali cave sfruttate in epoca romana per ricavare pietre da pavimentazione erano quelle di trachite nei Colli Euganei (Padova) e quelle di serizzo/gneiss in Brianza (Milano), Comasco, Val d'Ossola (Verbania) e Val di Susa (Torino), ovvero le aree dove si concentra la maggior parte delle testimonianze di basolati extraurbani.
32 Vedi ad esempio i casi dei vici di Luceria (PATRONCINI 1994) e Bedriacum (Bedriacum 1996), o della mansio di ad Silarum Fluvium (MOLINARI 2003).
33 Vi sono anche esempi di centri (come Augusta Praetoria, Brixia, Civitas Camunnorum, Regium Lepidi, Parma, Forum Popili) in cui, pur essendo adottati rivestimenti basolati, questi erano riservati unicamente ai principali assi cittadini mentre le restanti strade urbane erano pavimentate più semplicemente con ciottoli fluviali.
34 GALLIAZZO 1995, pp. 478-479. A tal proposito vedi anche ROSADA 2006, p. 413.
35 PLIN., Nat. Hist., XXXVI, 187.
36 FILIPPI 1997, PP. 58-60.
37 ROSADA 2004, p. 61.
38 ROSADA 1999, p. 84.
39 A Bergomum si rinvenne un tratto di strada basolata la cui pavimentazione era interrotta, a distanze regolari di 3,50 m, dall'inserimento di blocchi lapidei (larghi 0, 50 m e lunghi oltre 1 m) posti trasversalmente all'asse si scorrimento viario (DEGRASSI 1941).
40 Per altri esempi (italiani e non) su questa tecnica cfr. ROSADA 1999, pp. 84-85 e bibliografia ivi citata.
41 BLOCKLEY, CAPORUSSO 1991a, pp. 76-77; EID. 1991b.
42 SPAGNOLO GARZOLI 1993, p. 305.
43 ORTALLI 2000, p. 86; ROBINO 2008.
44 CIL, XI, 366.
45 L'iscrizione di Parma ricorda che Munatius Apsyrtus […] viam lapide turbinato a foro ad portam stravit, crepidines et castella posuit (CIL, XI, 1062), mentre quella di Concordia attesta che la stessa operazione venne fatta svolgere da P. Minnius Silvius circa aedem Minervae (CIL, V, 1892).
46 Cfr. UGGERI 1998 e bibliografia ivi citata.
47 ORTALLI 1992, p. 148.
48 CROCE DA VILLA 1987 (Concordia); PELLEGRINI 1995, p. 156 (Regium Lepidi); CERA 2000, p. 55 e p. 159 n. 37 (Libarna); ID., pp. 165-66 n. 105 (Dertona); NEGRELLI 2000, pp. 96-97 (Faventia); MAGGI, ORIOLO 2004 (Aquileia). Cfr. anche CERCHIARO 2004, p. 246.
49 Acciottolati suburbani sono particolarmente ben testimoniati a Bononia (ORTALLI 1992, p. 151), Faventia (NEGRELLI 2000, p. 96), Augusta Taurinorum (FILIPPI, LEVATI 1993, p. 288) e Forum Fulvi (FACCHINI, MARENSI 1998).
50 ORTALLI 1992, p. 152.
51 Cfr. STERPOS 1969, pp. 76-77; MORENO GALLO 2006, pp. 57-69 e bibliografia ivi citata.
52 ORTALLI 1992, pp. 147-148.
53 DAL RI, RIZZI 2005.
54 DE BON 1938, pp. 47-48.
55 DE BON 1938, pp. 53-54.
56 DAL RI, RIZZI 2005, pp. 44-45.
57 L'espressione proviene da un'iscrizione del 111 d.C. da Antrodoco presso Rieti (ILS, 5856). Cfr. CHEVALLIER 1997, p. 74 (nota 6).
58 MOLLO MEZZENA 1992, p. 59. Le murature erano costituite da grossi blocchi lapidei rozzamente sbozzati, probabilmente derivanti direttamente dai residui di lavorazione delle opere di taglio della roccia.
59 MOLLO MEZZENA 1992, pp. 60-64; ROSADA 2004, pp. 48-49. Interventi analoghi, caratterizzati da imponenti contraffortature e "ponti" ciechi per superare lacune di roccia, sono attesati anche in località Pierre Taillée (Avise) e ad Arvier (Aosta).
60 Vedi GALLIAZZO 1995, p. 485; ROSADA 2004, p. 50 e bibliografia ivi citata.
61 Vedi ad esempio i casi alto atesini di Fortezza (DE BON 1938, p. 66), Renon (ROSADA 1992, pp. 43-44) ed Elvas (DAL RI, RIZZI 2005, p. 38) o quelli della via che da Feltria risaliva l'alto corso del Piave a Roggia di Longarone e a Lozzo di Cadore, nel Bellunese (DE BON 1938, pp. 51, 57-58).
62 MOLLO MEZZENA 1992, p. 58.
63 MOLLO MEZZENA 1992, p. 67.
64 FERRERO 1890, p. 295.
65 CIL, III, 8267:…montibus excisis anconibus sublatis viam fecit.
66 ROSADA 2004, pp. 51-52.
67 MARINI CALVANI 1992, p. 190.
68 NEGRELLI 2000, pp. 277-278, n. 225.
69 MANZELLI 2000, p. 182, n. 161.
70 ORTALLI 1992, p. 148.
71 TAC., Ann., I, 61, 1 (pontes et aggeres umidum paludum et fallacibus campis imponeret) e I, 63, 3-4 (qumquam notis itineribus regrederetur, pontes longos quam maturrime superare). Accenni si hanno anche in Cesare (Gall., VII, 58, 1), che per definirla si serve della particolare perifrasi cratibus atque aggere paludem explere atque iter munire. Per il riconoscimento dei pontes longi con la tecnica costruttiva ricordata, vedi GALLIAZZO 1995, pp. 170-177; ID. 2002 e bibliografia ivi citata.
72 BORGATTI 1912, pp. 36-37; DALL'AGLIO, DI COCCO 2006, p. 365, FE_S01.
73 ROSADA 2004, pp. 54-55. Per altri esempi cfr. CERCHIARO 2004, p. 245 e bibliografia ivi citata.
74 Per una disamina sulle strade "in levada", con particolare riferimento alla situazione del Veneto, cfr. MASIERO 1999, in particolare alle pp. 115-118.
75 TAC., Hist., III, 21, 2 (in ipso viae Postumiae aggere); III; 24, 3 (ad duodecim a Cremona…aggerem viae…tres cohortes… obtinuere). Nel XVIII secolo il terrapieno era ancora visibile nei pressi di Goito (Mantova), quando venne esaminato dal Filiasi che lo descrisse come costituito da "strati di ghiaia e ciottoli e sabbia e creta ben costrutti" (cfr. CALZOLARI 1992, p. 164).
76 DE BON 1941, pp. 29, 47-48.
77 BONETTO 1997, pp. 35-44.
78 CERCHIARO 2004, p. 244; ROSADA 2004, p. 56.
79 TIRELLI, CAFIERO 2004.
80 La sede stradale vera e propria (un battuto di ghiaia e pietrisco) doveva però occupare solo la parte centrale del terrapieno (BASSO et alii 2004, pp. 57-59).
81 Strabone (IV, 6) dice chiaramente che fu opera di Augusto la sistemazione della viabilità alpina, mentre nell'iscrizione sull'attico dell'Arco di Augusto a Rimini si legge che celeberrimeis Italiae vieis, consilio et auctoritatae eius muniteis (CIL, XI, 365). Si può qui anche ricordare che per iniziativa di Augusto venne realizzata la via Iulia Augusta che da Dertona raggiungeva Narbo Martius e la Gallia Transalpina, mentre ancora Claudio si fece promotore dell'apertura della via Claudia Augusta che permetteva i collegamenti tra Altinum e le province di Retia e Noricum. Cfr. QUILICI 2006, pp. 166-167.
82 Cfr. ORTALLI 2000, p. 91; QUILICI 2006, p. 179.



FIGURAS



Figura 1. Disegno ricostruttivo di una strada romana (secondo la descrizione di Stazio).


Figura 2. Il principale sistema stradale romano in Italia settentrionale (da Postumia 1998).


Figura 3. Verona: tratto urbano della via Postumia pavimentato con poligoni di basalto.


Figura 4. Regium Lepidi (Reggio Emilia): tratto urbano della via Aemilia in blocchi quadrangolari di arenaria (da ORTALLI 2000).


Figura 5. Strada basolata in poligoni di trachite attraversante l'antico centro portuale di Classis (Classe, Ravenna).


Figura 6. Libarna (Serravalle Scrivia, Alessandria): tratto urbano della via Postumia lastricato con grandi blocchi di pietra (da CERA 2000).


Figura 7. San Giovanni in Compito (Forlì-Cesena): tratto glareato della via Aemilia (da MAIOLI 1998).


Figura 8. Sezione del tratto della via Aemilia messo in luce a Cittanova (Modena, da Aemilia 2000).


Figura 9. San Giovanni in Compito (Forlì-Cesena): decumano centuriale glareato (da MAIOLI 1998).


Figura 10. Calderara di Reno (Bologna): cardine centuriale (da POLI 2000).


Figura 11. Ceretolo di Casalecchio di Reno (Bologna): via glareata su decumano centuriale (da ORTALLI 2000).


Figura 12. Claterna (Ozzano Emilia, Bologna): acciottolato urbano della via Aemilia (da Claterna 1996).


Figura 13. Alba Pompeia (Alba, Cuneo): acciottolato urbano (da FILIPPI 1997).


Figura 14. Strada acciottolata attraversante l'antico vicus di Luceria (Ciano d'Enza, Reggio Emilia).


Figura 15. Acelum: tratto della via Aurelia pavimentato con la tecnica detta "a traversine" (da ROSADA 1999).


Figura 16. Sedico di Bribano (Belluno): tratto della via Feltria-Bellunum con massi inseriti a mo' di basoli (da DE BON 1938).


Figuras 17 y 18. Fortezza (Bolzano): due tratti della via della Val Pusteria sfruttanti l'emersione di rocce in posto (da DAL RI, RIZZI 2005; DE BON 1938).


Figura 19. Villeneuve (Champrotard): planimetria e prospetto di un tratto della "via delle Gallie" e delle sue imponenti sostruzioni (da MOLLO MEZZENA 1992).


Figura 20. Un tratto della via del Piave a Lozzo di Cadore (Belluno, da DE BON 1938).


Figura 21. La "via delle Gallie" a Donnaz (Aosta, foto di M. Ghezzi).


Figura 22. La "via della Gallie" presso il Passo del Gran San Bernardo.


Figura 23. Parma, via Palermo: sistemazione di anfore al di sotto della glareata della via Parma-Brixellum (da MARINI CALVANI 1992).


Figura 24. Varie tipologie di pontes longi (da GALLIAZZO 1995).


Figuras 25 y 26. Due immagini del tratto stradale (basolato e sottostrutture lignee) messo in luce a in via Garibaldi a Ferrara nel 1911 (da BORGATTI 1912).


Figura 27. Disegno ricostruttivo del terrapieno della via detta "dell'Arzeron della Regina" (da BONETTO 1997).



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